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IO, MIA MADRE E LOVECRAFT

NUOVO LOOK E SECONDA RISTAMPA 2023!


 "IL SENTIMENTO PIU' FORTE E PIU' ANTICO DELL'ANIMO UMANO E' LA PAURA, E LA PAURA PIU' GRANDE E' QUELLA DELL'IGNOTO".

Cit. H.P.Lovecraft



SINOSSI

Un thriller paranormal ambientato nella splendida città di Verona e dintorni.
Gemma ha solo tredici anni eppure è costretta a vivere una vita piena di forti emozioni e difficoltà, dalla lontananza di sua madre, perché rinchiusa in un Istituto d'igiene mentale, alla rigidità e severità di sua nonna, proprietaria di una fabbrica di pelli, sempre poco presente. Con il suo amico "peloso" di nome Kennedy e la sua Bepa, donna di servizio in casa, capirà ben presto che la cattiveria esiste e che l’essere umano è in grado di cose orribili quando il male dimora all’interno della sua anima.

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ESTRATTO



Mia madre parlava con i morti: per questo era considerata da tutti una persona poco sana di mente.
Nelle epoche antiche l’avrebbero messa al rogo, arsa viva, ma per fortuna nel mio tempo, ci si limita a chiudere gli insani in Centri per l’igiene mentale.
Non sono certo bei luoghi, specialmente per chi si reca a trovare i propri cari nelle visite domenicali.
Ogni settimana andavo a trovare mia madre e le portavo un sacchetto di caramelle di gelatina che lei adorava.
Mia nonna materna ci accompagnava per accertarsi che gli accordi presi con il direttore della struttura fossero rispettati. Le condizioni sanitarie e di igiene dovevano essere al top, sia nella sua stanza sia per la sua persona.
Non doveva mancarle nulla e oltretutto erano costretti a esaudire ogni suo desiderio durante la degenza. Mia nonna pagava molti soldi per darle tutto ciò di cui aveva bisogno e per farla stare a suo agio e in serenità.
Durante il suo giro d’ispezione, io e Bepa, la mia tata, raccoglievamo i fiori più belli del giardino per creare un bouquet da regalare alla mamma.
A tredici anni non dai molta importanza al tempo, però sono sicura che il rito d’ispezione di mia nonna durasse almeno un’ora perché, quando finalmente vedevo la mia mamma, lei era sempre ben vestita, pettinata e profumata, come me dopo il bagno settimanale che mi obbligava a fare Bepa. A questa età si tende a trascurare l’igiene personale e fare il bagno una volta a settimana è più che sufficiente.
Come diceva la mia tata: “Prima che té cavi tutto l’ónto, ne vorrà almànco n’ora!”. Quando ero piccina ero sempre sporca di terra e resina perché amavo arrampicarmi sugli alberi e rotolarmi sull’erba per giocare, e la povera Bepa ci metteva più di un’ora per lavare me e i miei panni sporchi.
A parte i fiori, non c’era altro a dar colore a quel luogo; la costruzione imponente era in pietra grigia, e persino gli inservienti erano vestiti di colore grigio.
Mi sembrava di guardare un film horror in bianco e nero con tanto di effetti speciali. Udivo in lontananza echi di grida e lamenti appartenenti a pazienti all’interno dell’Istituto costretti, a causa della mia presenza, a rimanere dentro finché la visita non fosse terminata. Il cuore saltava in gola e il cervello creava immagini nella mia mente da far concorrenza al regista George Romero.
Mia nonna si era assicurata anche di questo: che non vedessi cose che potessero aggravare o aumentare le mie insicurezze e paure.
Però, nell’istante in cui vedevo finalmente mia madre, tutto spariva, si colorava e i cattivi pensieri magicamente, non c’erano più.
Cercavo di stare con lei il più possibile disturbando di continuo le chiacchiere tra lei e la nonna, e nonostante venissi ripresa più e più volte, continuavo nella mia impresa perché volevo averla tutta per me.

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