La Compassione
vista dal punto di vista buddista, non è altro che la condivisione empatica
delle sofferenze altrui.
Ognuno di
noi, a parer mio, dovrebbe sviluppare questo sentimento, per vivere in completa
armonia con le persone che lo circondano. Il mondo sarebbe un posto migliore se
pensassimo prima al bene degli altri e poi al nostro.
Ho provato
questo sentimento, per la prima volta, nei confronti di mia madre.
Lei non era
per così dire, una persona molto espansiva e affettuosa, e a parer mio, non
aveva quell’istinto materno insito nella donna, ma non per questo potrei
affermare che non mi avesse voluto bene, anzi, me ne voleva, ma a modo suo.
Anche se
poteva sembrare una persona rigida e forte, lei era tutto l’opposto. Fragile,
insicura e insoddisfatta della propria vita.
Dalla mia
adolescenza, il nostro rapporto si era spezzato notevolmente, perché io, da
ragazza quale ero, volevo vivere la mia vita, mentre lei, pretendeva che le
stessi sempre accanto.
Mi faceva
sentire in colpa dicendomi che stava bene solo quando era insieme a me, ed era
vero, perché quando mi allontanavo da casa, lei cadeva in una buia depressione.
Per molti
anni, inconsapevolmente, rinunciai ad uscire per non farla stare male, ma quando
la mia voglia di libertà emerse urlando, incontrando per mia fortuna, quello
che sarebbe stato l’amore della mia vita, per lei fu la fine.
I suoi
problemi interiori non risolti, l’avevano portata ad aggrapparsi a me, e quando
intorno ai 20 anni, me ne andai via di casa, lei peggiorò.
“Mi odiava”,
così mi diceva al telefono, e mi accusava di averla “abbandonata” ed io, combattuta,
e stanca, mi tenevo lontana il più possibile, per non soffrire delle sue
parole.
Ero soffocata
dalla sua presenza instabile, e dispiaciuta, perché le mie parole, nonostante
tutto, non riuscivano mai ad aiutarla e a farla sentire meglio.
Cosa avrei
potuto fare per lei? Niente. Non puoi aiutare chi non vuole essere aiutato!
Il nostro
rapporto era fatto di insulti e brutte parole, sempre nei miei confronti, perché
io, non mi permettevo di risponderle, per educazione e visto il suo stato
psicologico.
Ho subito
tanti di quegli insulti e parolacce che non sapevo nemmeno esistessero, ma
nonostante tutto, continuavo a volerle bene, perché era pur sempre mia madre.
L’amavo e la
odiavo nello stesso tempo e non capivo perché gettasse addosso a me, tutto il
suo astio e la sua rabbia di vivere.
Questo mi
rendeva infelice e l’unico modo per cambiare le cose, era starle lontana. Fu una
grande sofferenza per me, come per lei, ma dovevo tenere duro e andare avanti, tentando
di trovare un posto dentro me, in cui essere felice.
Quando nacque
mio figlio Diego, le cose un po’ cambiarono, cambiò lei. Il suo stato d’animo
quando ci vedeva era alle stelle e addirittura, giocava con mio figlio,
rotolandosi per terra come una ragazzina. Mi chiedevo se l’avesse fatto anche
con me quando ero piccola, ma temevo la risposta, così, mi facevo bastare
quello che dava a lui.
Nel 2011 si
ammalò di cancro. Furono giorni davvero difficili per tutti, e nonostante “non
meritasse la mia presenza”, come mi dicevano in molti, io rimasi accanto a lei
fino alla fine.
Nei miei
momenti di difficoltà, lei per me, non c’era stata, mai! Credetemi se vi dico
che ho dovuto affrontare una bruttissima situazione di salute, dove persone che
non mi erano nulla, sono state notte e giorno accanto a me, curandosi di me fisicamente
e psicologicamente (mio marito e i miei suoceri, Liliana e Rodolfo), mentre
lei, non si fece mai vedere o quasi.
Avrei dovuto
ripagarla con la stessa moneta? Può darsi, ma non lo feci.
In quel
letto di ospedale, ridotta un mucchio di ossa, c’era la persona che mi aveva
dato la vita, la stessa che non era stata capace di affrontare i suoi fantasmi,
fino ad ammalare la sua anima.
Era per me
impensabile, non starle vicino, provando ad alleviare il suo dolore. Infondo,
per una parte della mia vita, lo avevo già fatto.
Fu estremamente
difficile vederla morire ogni giorno, consapevole che l’avrei persa per sempre,
eppure, non mancò giorno che non fossi lì accanto al suo capezzale.
La forte Compassione che ebbi di lei, mi diede la
forza per andare avanti e perdonare tutte le sue parole e le sue mancanze nei
miei confronti. Avevo capito che il suo male interiore, psichico, l’aveva oscurata
a tal punto, di non vedere più. Non potevo fargliene una colpa.
Oggi, a
distanza di 9 anni, serbo di lei un bel ricordo e seppur non dimentico, ho
imparato a perdonare.
Ecco, questa
è la mia Compassione.
Erika